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IL LIBRO    

Intervista a Angelo Simone Cannatà
a cura di
Paola Angeloni

pubblicata su SpazioLiberoBlog il 21 dicembre 2020
 
Come è nato questo libro?

E’ nato con me, nel 1960, in borgata.
Una borgata cruda, aspra, popolata da comunisti, ex operai della vicina fabbrica dismessa, muratori, asfaltisti, marmisti, carpentieri, carabinieri, saldatori ossiacetilenici. Gente pratica, concreta.
Nelle sere d’inverno gli uomini tornavano a casa dopo essersi sbronzati al Circolo dei Lavoratori, bussavano agli usci delle loro povere case proletarie e alle mogli che chiedevano “Chi è?”, rispondevano “’Sto cazzo!”.
Dall’unica stanza da letto dove dormivamo in sette, io li udivo e mi raggomitolavo perplesso nel mio lettino, dove davanti agli occhi avevo i piedi di mio fratello grande.
“Perché non dicono “Io” come ho sentito dire alla Tivvù dei Ragazzi?”, mi chiedevo.

Il posto dove vivevi ti sembrava strano?

La faccio breve. Mi sa che lo strano ero io.
I miei genitori capirono ben presto che c’era qualcosa che non andava.
Mi portarono dal Dott. Dante B., il nostro medico condotto e infatti la diagnosi fu immediata quanto spietata: ero nato sensibile.
Mia madre piangeva. Papà cercava di rincuorarla.
“Si è sbagliato”, ripeteva. “Ha detto una parola gentile, ma non la voleva dire. Gli è scappata! Vedrai che adesso anche lui da bravo bambino imparerà come gli altri a salire sui cipressi del viale per sfasciare i nidi dei cardellini con le uova dentro. Non disperare!”.

Ma poi col tempo sei guarito?

Manco per niente. Più crescevo e più diventavo sensibile.
I miei ce la mettevano tutta per nascondere questo mio difetto che, se fosse stato scoperto, in borgata mi avrebbe marchiato a fuoco per l’intera esistenza.
I giorni passavano, crescevo ma non cambiava nulla.
Non uccidevo le lucertole, non sparavo cartoccetti con lo spillo in punta dalla cerbottana, non sapevo costruire pericolose mazzafionde con le forcelle dei rami di pino e gli elastici “a mattonella”, come usavano chiamarli i miei coetanei.

Invece cosa ti piaceva?

Mi piacevano le parole e le storie che con esse si potevano costruire. Mi piaceva come tutto quello che nasceva dalla fantasia, un attimo prima era nuvola, ma poi con le parole diventava una pioggia leggera che ti cadeva addosso e invece di bagnarti ti faceva sentire felice.

Ma dove le trovavi queste parole? Nella borgata aspra e impietosa?

Nemmeno per sogno, di belle parole intorno a me e per un raggio di diversi chilometri non se ne trovavano. Aggiungici poi che per non dare nell’occhio di libri in casa non ne avevamo, queste potevano arrivarmi solo in un modo: con le canzoni alla radio.
Avevamo allora un preziosissimo apparecchio a valvole che tenevamo adagiato su un centrino di cotone bianco inamidato, fatto da mia madre all’uncinetto, in un vano a giorno tutto foderato di specchietti verticali di una piccola credenza ereditata da certi vicini che si erano trasferiti nelle Marche.
Mia madre confezionava un centrino per ogni cosa che entrava in casa e rimaneva in posizione statica per più di tre minuti.
Se stavo studiando e avevo i gomiti poggiati sul tavolo, mi sollevava i gomiti e ci infilava un centrino sotto.

Cosa ti piaceva ascoltare?

Le canzoni italiane. Quelle inglesi non le capivo. Non ho mai capito come alla gente possano piacere le canzoni in lingua inglese se non conoscono questa lingua e quindi non possono comprenderne il significato.

Il mio idolo era Mogol che allora scriveva testi meravigliosi per l’ Equipe 84 e per Lucio Battisti.

“Oh! Come mi piacerebbe diventare lui, da grande. Come vorrei essere Mogol…”, pensavo sempre.
Ma un giorno d’estate arrivai a casa assetato e, bevendo direttamente dal rubinetto che era in cucina, mi venne spontaneo esclamare:
«Acqua azzurra, acqua chiara, con le mani posso finalmente bere…»
Mia madre mi vide e disse:
«Quante volte ti ho detto di usare il bicchiere, scimunito!»

E fu per questo che non diventai Mogol.

E poi cosa accadde?

Zitto. Sono stato zitto per anni. Come mi veniva di pensare ad una cosa bella cercavo di distrarmi, di distogliere la mente. Mi sentivo un diverso e ne provavo vergogna.
Mi sono nascosto, ma nel tempo mi è anche capitato di rischiare ancora di essere scoperto.

E come?

Una volta, sempre in estate, me ne stavo sulla costa, davanti al mare con lo sguardo fisso verso l’orizzonte.
“Come può uno scoglio arginare il mare?”, esclamai a bassa voce, ma mio fratello grande sentì e mi disse:
“Muoviti coglione, vammi a prendere un Calippo alla menta al bar del Corsaro!”.
Io andai. E pure quella volta non diventai Mogol.

In un’altra occasione stavo guidando a fari spenti nella notte per capire se poi è tanto difficile morire, però mi fermò la Stradale e il maresciallo Mulas in caserma mi fece un cazziatone che ancora me lo ricordo.
Pure allora non diventai Mogol.

Ne potrei raccontare di cose, se ciò non mi provocasse dolore…
Sempre quando ero ragazzo, un giorno me ne stavo in finestra a rimirare il giardino delle sorelle zitelle che avevamo davanti casa, quelle che ci bucavano il pallone se ci finiva dentro, quando mi colse un pensiero delicato.
“I giardini di Marzo si vestono di nuovi colori…”, dissi felice a mio padre che passava da lì.
E lui: – Vedi che c’è da raccogliere l’erba per i conigli, ‘ntontarutu! – (che significa scemo in calabrese).
Manco in quell’occasione diventai Mogol. .

E allora?

Allora qualche tempo dopo Mogol scrisse, con le mie stesse parole, canzoni che hanno avuto il successo che tutti conosciamo.
Capito? Io sono stato considerato uno scimunito e lui invece è diventato il più grande e importante autore italiano di testi di canzoni di tutti i tempi.

Ho pensato che stiamo sempre a guardare e a fare i conti col punto di arrivo. Con il risultato. Il traguardo.
Invece puoi cadere sulla roccia e morire, oppure sulla terra fertile e fiorire.
Il risultato è molto diverso, ma tu eri pur sempre un piccolo seme.

Allora questo libro? Non dovrebbe esistere, se è come dici.

E invece eccolo. I primi giorni del 2021 lo porteranno. Un bell’inizio di anno, un bell’augurio.
E’ un libro di buoni sentimenti, ne abbiamo tutti bisogno.
Io avevo bisogno di scrivere, ho sempre desiderato farlo.
Penso di poter affermare di avere iniziato a scrivere, ancora prima di imparare i segni dell’alfabeto.

E’ impossibile. Come facevi?

Annotavo dentro di me le cose che avrei voluto scrivere. Le registravo nella mia memoria .
Ho dei ricordi così antichi eppure così nitidi e ricchi di minuscoli particolari che io stesso a volte ne rimango stupito.

Perché allora il tuo libro arriva solo oggi?

Una volta da giovane ci ho provato, a pubblicare un mio libro dico, ma mi dissero che non avevo la necessaria esperienza, che dovevo aspettare di diventare vecchio e saggio per raccontare delle storie che potessero interessare.
Ogni tanto mi chiedevo se quel giorno fosse finalmente arrivato.
Niente.
C’era sempre qualcuno più anziano di me che aveva fatti più interessanti da narrare. Un vero accanimento nei miei confronti, credimi. E intanto Mogol diventava sempre più famoso.

E poi cosa hai fatto?

Che potevo fare? Ho aspettato.
Poi un giorno mi sono detto: “Qui a voler dar retta a tutti finisce che divento troppo vecchio e davanti ad un mio libro tutti penseranno: “ Si, vabbè, salutatelo finché riconosce. Avrà scritto le sue storie sotto l’effetto allucinogeno delle pillole per l’ipertensione arteriosa”.

E allora?

Ho iniziato a spedire il mio libro alle case editrici. Da vero sfacciato, senza scrupoli.
Alcune di loro non lo hanno accolto favorevolmente.
“E’ un bel testo, ma è scritto con un linguaggio di altri tempi. Ci vorrebbe qualcosa di più attuale, che sia lo specchio dei nostri giorni. Insomma… qualcosa di più giovane!”, mi dicevano.
Capito? Quando sei giovane ed inesperto ti vogliono vecchio e saggio. Tu non ti fai pregare. diventi vecchio in un battibaleno che quasi manco te ne accorgi ed invece no, “cercavano uno giovane”, loro!

Poi le cose sono cambiate…

Si. Un giorno di luglio scorso sono stato chiamato al telefono dalla responsabile editoriale della casa editrice Armando Curcio.
Mi ha detto: E’ un bel testo, è scritto con un linguaggio di altri tempi. E’ tenero, lievemente malinconico, evocativo. E’ proprio quello che ci vuole per questi giorni scuri che stiamo attraversando.
Se vuole, il suo libro lo stampiamo noi. Le facciamo un contratto per cinque anni”.
Ho risposto che a me andava bene.

Cosa ci troveremo?

Tutto quello che non avevo mai avuto il coraggio di raccontare.
Dai, siamo tutti un po’ così!
Ci blocca il pudore, il timore di non essere compresi. L’idea che quello che abbiamo dentro sia troppo piccolo, troppo misero, che non valga la pena di essere condiviso. Che sia troppo comune.
Ed invece è unico, pur se in qualche modo appartiene alla memoria di ognuno di noi ed è allo stesso tempo universale.

Quindi, la “cruda borgata” come l’hai definita tu, non è riuscita a bloccarti?

Direi di no. Anzi, al contrario mi ha regalato gli strumenti per arrivare fin qui.
Quel microcosmo formato da mangiapreti anarchici e senza Dio, portava invece nel cuore il vero Dio.
Ed era di solidarietà, di aiuto e di condivisione. Poche parole, spesso mal dette, ma tanta sostanza. Un esempio per me.
Vivere in quella meraviglia mi ha fatto bene. Nel libro ci sono molti personaggi della mia infanzia. Altri non ho potuto metterli per questioni di spazio, ma li porto dentro e spero di parlare di loro in un prossimo libro.
Credo che sia stato il mio cuore ad essere diventato borgata.
Ho avuto una nascita fortunata, in posto minuscolo dove puoi essere felice per una fila di formiche in un campetto di terra arsa. Il posto delle piccole cose.

Ma Mogol ha saputo che volevi essere lui?

Si. Lo ha saputo.
In qualche modo sono riuscito a fargli arrivare il libro. Dopo una settimana mi ha scritto.
Poche parole:
“Ho letto Volevo essere Mogol e mi sono fatto una risata!
Ridere fa bene alla salute.
Questo scritto è fantastico!
Mogol

Ho pianto di gioia.

Come definiresti la tua scrittura?

A me piace scrivere le immagini. Sarà per il fatto che ho sempre amato scrivere e scattare fotografie e dentro di me queste due passioni si danno la mano, interagiscono e si combinano tra loro.
Scrivere è più difficile che fotografare, ma la scrittura ti rende libero.

In che modo?

Quando scatti una fotografia scegli con quale focale riprendere la scena che vuoi descrivere. Con una focale corta, un obiettivo grandangolare dico, nell’immagine compariranno più elementi mediamente distanti dall’occhio che li vedrà. Al contrario, con una focale lunga, un teleobiettivo, ci si concentra sui particolari. Il teleobiettivo avvicina e ingrandisce.
Con la scrittura è un continuo carrellare avanti e indietro tra ciò che è vicino e ciò che è distante. Tra ciò che è piccolo piccolo e ciò che invece è gigantesco. Non è una libertà?
Posso partire dall’oggi, da ciò che è adesso e arrivare lontano, fin dentro alla tana della lucertola nel muro di tufo della casa dove sono nato. Posso restare qui, con te, e arrivare alle bucce dei semi sputati sul pavimento del Circolo dei Lavoratori di quando avevo dieci anni.

Se non fossi tu ad averlo scritto, lo leggeresti il tuo libro?

Beh, si. Lo leggerei certamente. Ma con calma, senza correre. Lo farei durare un po’, come si fa con le cose che vuoi che non finiscano.

E se lo dovessi presentare in due parole a chi non lo conosce?

Due parole sono davvero poche.
Se ne avessi a disposizione qualcuna di più mi piacerebbe dire di lui quello che Evaldo Violo, per oltre trent’anni direttore editoriale della BUR, la Biblioteca Universale Rizzoli ha scritto a proposito di “Volevo essere Mogol”:
“Nostalgico ma leggero, malinconico ma lieve, con un sorriso che aleggia.”
Ecco, penso che lo racconterei cosi.

Sarà il libro adatto da regalare Natale allora?

Si, sarà il libro di Natale che però si potrà leggere a carnevale. L’uscita nelle librerie è prevista infatti nei primissimi giorni di febbraio. Al momento si può regalare la promessa di un libro, ordinandolo on-line nello store della Curcio, su Amazon e in altri siti.
Ovviamente si può preordinare anche nel negozio di libri sotto casa, che poi è la cosa che mi piace di più.
Per ogni libreria che chiude perché non ha clienti, apre una sala di slot machine. Non ce lo meritiamo, dobbiamo volerci più bene.

 

PAOLA ANGELONI

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AutoreAngelo Simone Cannatà
Editore: Armando Curcio - Collana Electi
ISBN-10: 8868685213
ISBN-13: 978-8868685218
Armando Curcio Editore

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